Alzheimer una malattia ancora da sconfiggere. Con Eugenio Barone scopriamo a che punto é la ricerca
La nostra intervista dopo un interessante convegno nell’auditorium del Santuario di San Francesco di Paola che ha riunito eminenti esperti del settore tra i quali il ricercatore paolano Eugenio Barone
L’Alzheimer é una malattia subdola che cancella dalla mente tutto ciò che si é vissuto. Affetti, volti di persone care, ciò che di bello e di meno bello si é vissuto nella vita. Ieri un interessante convegno nell’auditorium del Santuario di San Francesco di Paola ha riunito eminenti esperti del settore tra i quali il ricercatore paolano Eugenio Barone, del Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli” della Sapienza di Roma che abbiamo incontrato rivolgendogli alcune domande per capirne di più su questa malattia e soprattutto sullo stato di avanzamento della ricerca su una cura che stenta ad arrivare per la complessità di questa demenza.
Il convegno tenutosi a Paola dimostra l’impegno di ricercatori come lei nella scoperta di una cura contro l’Alzheimer. Abbiamo compreso il vostro di impegno ma quello delle istituzioni, soprattutto quelle pubbliche?
Certamente il ruolo delle Istituzioni pubbliche è fondamentale. C’è ancora molto da fare e seppur la ricerca va avanti, c’è bisogno di supporto ai malati ed alle loro famiglie. Abbiamo fatto notare come oggi il costo per la cura delle persone affette da Alzheimer e da demenza in generale è di circa 16 miliardi di euro annuì in Italia. Una mezza finanziaria. Capisce bene quindi che parliamo di una patologia che non è più solo un problema medico ma è anche un problema sociale ed economico. Trovare un rimedio è certamente compito della ricerca, stare a fianco di chi soffre e di chi spende giornate intere per curare ì propri familiari è compito delle istituzioni, che devono mettere in campo tutte le risorse e le infrastrutture necessarie. Pensi solo che molte persone in età lavorativa sono costrette ad abbandonare il lavoro per stare vicino alla propria madre o al proprio padre. Spesso perché non esistono strutture adeguate in cui chi soffre di demenza possa essere seguito adeguatamente. In un paese civile lo trovo inaccettabile.
A quanto pare gli studi sono orientati nella ricerca di proteine capaci di bloccare la malattia. Ad oggi una molecola, un farmaco capace di fermarla non esiste. Ritiene che la strada sia ancora molto lunga?
La scoperta di un farmaco per curare una malattia che riguarda il cervello rappresenta una sfida molto difficile. Se la strada sia ancora molto lunga non saprei dirlo. La mia speranza è che quanto prima siano disponibili dei farmaci efficaci. Allo stesso tempo però ritengo che non si possano dare alle persone false speranze. Purtroppo i due farmaci (due anticorpi monoclonali contro la proteina beta amiloide) approvati recentemente negli Stati Uniti e presentati inizialmente come un grande risultato, hanno mostrato tutte le loro criticità. E molti scienziati si sono scagliati contro la loro approvazione. In Europa non sono stati infatti ancora approvati (per fortuna!). Anche io ritengo che la loro approvazione sia stata troppo frettolosa e senza evidenze solide riguardo la loro efficacia. Questa storia ci insegna che c’è ancora molto da fare. Vorrei anche sottolineare il fatto che difficilmente troveremo un farmaco in grado di curare l’Alzheimer. Quasi certamente avremo bisogno di agire su più fronti. Con più farmaci o con una combinazione di farmaci e stili di vita.
Nel convegno si é parlato di una dieta la “Mima digiuno” messa a punto dal prof. Valter Longo. Ci spiega di cosa si tratta e a cosa serve?
La dieta mima digiuno sfrutta un principio fondamentale della biochimica: stimolare la degradazione delle sostanze tossiche/inutili di una cellula. In effetti, durante il digiuno, i livelli di glicemia e di altri nutrienti si abbassano e questo provoca una reazione da parte delle cellule sane: queste riducono o interrompono la loro crescita, rallentano la loro attività – il loro metabolismo- e rafforzano le loro difese. Incentivare la rigenerazione delle cellule attraverso la bonifica delle loro componenti danneggiate. Eliminare le cellule danneggiate di molti organi e sistemi e sostituirle con cellule di nuova generazione mediante l’attivazione delle cellule staminali, dopo che si è concluso il periodo di restrizione calorica.
Promuovere un processo utile a bruciare il grasso addominale, anche successivamente al ritorno alla normale alimentazione senza ridurre la massa muscolare. Attraverso una serie di accorgimenti alimentari è infatti possibile , ridurre quei processi molecolari responsabili dell’accelerazione del processo di invecchiamento e delle conseguenti malattie quali cancro, diabete, malattie cardiovascolari, neurodegenerative e autoimmuni.
Il funzionamento della dieta di basa su un’alimentazione programmata. Periodicamente (da 30 giorni a 4 mesi, in base al soggetto), seguire 5 giorni di alimentazione programmata in cui l’introito energetico scende progressivamente dal giorno 1 al giorno 5.
Gli alimenti sono esclusivamente di origine vegetale e apportano principalmente carboidrati e pochi grassi di tipo insaturo.
Importante è, tuttavia, sottolineare che alcune diete estreme e restrizione calorica cronica possono creare effetti collaterali. Quindi bisogna seguire questi regimi alimentari sempre sotto la guida attenta di un esperto. Niente fai-da-te.
Perché secondo lei la FDA e AIFA sono spesso discorde tra loro nel dare il via a protocolli sperimentali. Eppure dovrebbero poggiarsi su basi comuni. Ciò non rappresenta un ostacolo per la ricerca?
No guardi, i rispettivi board sono composti da scienziati che possono tranquillamente avere opinioni differenti rispetto ai dati di uno studio clinico. Questo credo sia un lato positivo. E soprattutto i criteri di valutazione per approvare l’immissione in commercio di un farmaco non sono esattamente gli stessi. Basti pensare, per semplicità, al fatto che alcuni farmaci o dosaggi di farmaci sono disponibili in alcuni paesi e non in altri. Dipende dai criteri che sono stati adottati dalle Agenzie regolatorie. È un tema molto complesso, e si rischia di trarre facilmente conclusioni affrettate, soprattutto per la scarsa conoscenza dei meccanismi che guidano le decisioni delle Agenzie regolatorie.
Ipotizzi di parlare con il figlio di una malato di Alzheimer. Quali parole incoraggianti potrebbe dirgli in prospettiva per una cura contro la malattia del suo genitore?
Purtroppo mi è capitato e posso assicurarle che non è semplice. La malattia di ALZHEIMER come ogni patologia per cui non esiste una cura, è devastante per le famiglie. E lo diventa ancora di più quando si perdono i ricordi. Sapere che quella persona è tuo padre, e che adesso lui non ricorda più che tu sei suo figlio, genera grande sconforto. Difficile trovare parole incoraggianti. E poi dipende dalle situazioni. Ma è un campo molto intimo ed eviterei di fare qualsiasi tipo di commento, in quanto potrebbe risultare fuori luogo.
Lei é un ricercatore da molti anni. Il sistema ricerca funziona o cambierebbe qualcosa?
Questa è una bella domanda. È chiaro che dipende da cosa valutiamo, per dire se il sistema funziona o meno. Ci sono molti campi della ricerca che certamente hanno fatto passi da gigante. Altri un po’ meno. Fare ricerca sull’ Alzheimer richiede uno sforzo maggiore perché siamo di fronte ad una patologia subdola. E soprattutto ad un tipo di ricerca che è molto costosa. Un aspetto da non sottovalutare. L’ho fatto vedere anche ieri durante la mia presentazione. Il costo medio per la scoperta di un farmaco per l’Alzheimer si aggira intorno ai 5,7 bilioni di dollari. Quello per un farmaco per il cancro intorno a 0,8 bilioni di dollari. 7 volte in meno. Questo per dire che c’è bisogno di molte risorse da mettere in campo e soprattutto c’è bisogno di una programmazione . E questo per esempio è qualcosa che in Italia andrebbe certamente implementato.