A settembre a scuola ma a giorni alterni. L’idea sballata del ministro Azzolina
Le soluzioni esistono e si spera possano essere prese in considerazione. Nel frattempo sarebbe giusto anche liberalizzare l’accesso alle facoltà di medicina
ROMA – Ormai è un dato assodato. L’anno scolastico in corso è definitivamente chiuso, nel senso che alunni e studenti italiani non faranno rientro nelle aule fino a settembre prossimo. Ma come sarà la scuola post Coronavirus? Si sta facendo strada sempre più l’idea di alternare giorni in aula e giorni in video lezione. Si tratta di una sorta di precauzione per attuare il distanziamento sociale anche all’interno delle aule consentendo l’accesso limitato ad un certo numero di persone. Una idea questa che ci sembra alquanto sballata e ne spieghiamo il perché.
Innanzitutto non vediamo come i bambini delle scuole elementari ed in particolar modo i più piccoli, di prima e seconda, possano seguire online lezioni a distanza. Necessiterebbero senza alcun dubbio di tutor come naturalmente potrebbero essere i loro genitori ma che cosa accadrebbe se entrambi i genitori dovessero essere impegnati in attività lavorative?
Il secondo dubbio proviene dalla qualità delle lezioni che sicuramente sarebbe molto più scarsa online rispetto a quelle in aula.
Il terzo dubbio è dato dalla soglia dell’attenzione che è naturalmente più elevata in lezioni in aula.
Un quarto dubbio è dato dalla effettiva fattibilità del tutto. Nel senso che non tutte le famiglie sono nelle condizioni di poter comprare dispositivi utili per le video lezioni a distanza e sopportare costi di collegamenti internet (ad esempio wi-fi) necessari per corsi online. Lo stato dovrebbe in tal caso, per garantire il diritto costituzionale all’istruzione, fornire tutti gli studenti di tali dispositivi e accollarsi le spese di collegamento internet.
Se il problema sta nel fatto di rendere le aule meno affollate ci sembrerebbe più opportuno crearne delle nuove. Con questo vogliamo dire che all’interno di un istituto scolastico anziché formare 10 aule di 28 alunni se ne potrebbero ad esempio creare 20 con 14 alunni reclutando magari molti insegnati che attendono si essere immessi a ruolo o assumendone altri a tempo determinato con contratti legati alla fine della emergenza Covid19.
L’Italia che è un Paese dove il provvisorio spesso è volentieri si trasforma in definitivo, questo tipo di approccio preoccupa e non poco su come potrebbe diventare la nuova istruzione. Minare le basi di un popolo, e l’istruzione è una base fondamentale, è molto pericoloso per la democrazia e la crescita collettiva. In una nazione vessata da morti covid ad esempio sarebbe stato più utile, in campo “istruzione”, sentir parlare di altro che non è stato minimamente accennato, come ad esempio il libero accesso alle facoltà di medicina. La grave difficoltà nel reperire medici in questo periodo pandemico avrebbe dovuto immediatamente illuminare le menti dei nostri governanti. La difficoltà dovuta ai test d’ingresso alla facoltà di medicina ha fatto sì che medici in Italia ce ne siano stati pochi per poter affrontare l’emergenza sanitaria. Il fatto che in piena pandemia si sia dovuto ricorrere al reclutamento di studenti di medicina iscritti all’ultimo anno di specializzazione la dice lunga su questo argomento.
La speranza è che il governo ripensi a quella che ad oggi è una proposta e faccia passi in avanti contro le caste che si creano anche negando il libero accesso all’istruzione universitaria.