Calabria 2020 – Analisi del voto e la speranza di una svolta coraggiosa
L’analisi post voto fa emergere una Calabria che vive tra speranza e protesta che chiede ai leader nazionali di tutti i partiti una gran dose di coraggio
CALABRIA – Dopo cinque anni di governo Oliverio la Calabria si riscopre di destra. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno fatto incetta di voti e di consiglieri regionali. A fare la parte da leone è stata sicuramente la Lega di Salvini, che ancora attende la possibilità di inserire un nuovo consigliere regionale all’interno di Palazzo Campanella. Luigi Novello, infatti, inizialmente sicuro di entrare, è rimasto fuori sembrerebbe per soli 15 preferenze, non sul candidato ma sul simbolo. Quello della Lega è il dato più sorprendente se pensiamo che si è votato in Calabria e le percentuali che rasentano il 13% fanno riflettere e non poco. Salvini è riuscito nell’impresa di far passare, tra i calabresi, un messaggio di rinnovamento legato ai temi caldi del “carroccio” che riguardano la sicurezza, l’efficienza buorocratica e amministrativa e il rinnovamento della classe dirigente politica. Ma perché i calabresi hanno scelto Salvini? Questa è una domanda che tutti si fanno. A questa possiamo dare due chiavi di lettura. La prima riguarda la piena convinzione che forse in Calabria vi sia davvero bisogno di un partito forte come la Lega, che ha mantenuto il suo atteggiamento “duro e puro” di bossiana memoria, spogliandola, almeno nelle apparenze, delle velleità antimeridionaliste e secessioniste, anche se le uscite pubbliche preelettorali di Bossi e di altri big leghisti hanno lasciato molte perplessità in merito. La seconda chiave di lettura, che è collegata alla nuova debacle del M5S che non è riuscito a piazzare neppure questa volta suoi rappresentanti in consiglio regionale, è quella che è direttamente connessa alla protesta. Che il voto dei Cinquestelle alle scorse politiche, dove fecero il pieno di voti, deputati e senatori, non poteva e non può essere visto, anche e soprattutto alla luce di quanto accaduto il 26 gennaio, come un voto politico ma di protesta. Così parte di quell’elettorato potrebbe aver individuato nel “carroccio” il nuovo approdo per manifestare il dissenso che però a differenza di quello grillino si configura come un voto politico. Un segnale forte al governo nazionale che se non avesse avuto la forza di conquistare l’Emilia Romagna, avrebbe dovuto rassegnare certamente le dimissioni. Che la protesta e la sfiducia sia palpabile in Calabria lo dimostra il fatto che ancora una vota il partito più forte sia stato quello dell’astensionismo che ha toccato il 55,67%, percentuale altissima che rispecchia ciò che si era registrato già alle regionali del 2014. Chi dava per morto Berlusconi invece, si deve ricredere. L’ex cavaliere di Arcore, non perde consensi ma anzi dimostra di rinvigorirsi con il voto in Calabria. Ma in realtà non si poteva immaginare il contrario visto che l’espressione massima, la candidata Santelli, è di chiarissima espressione azzurra. Nel centrodestra sorprende anche il dato dell’Udc che raggiunge un apprezzabile 6,84% che se associati al 6,34% della Casa delle Libertà, al 8,45% di santelli Presidente e al 12,34% di Forza Italia fa capire che in Calabria ci sia ancora voglia di centro(destra). Passando al centrosinistra si nota che le due liste ufficiali del Partito Democratico: PD (15,19%) e DP (6,12%) raggiungono insieme il 32,31%.
Ma il problema per Zingaretti arriva adesso. L’estromissione dalla corsa alla presidenza della Regione di Mario Oliverio ha fatto passare un concetto di rinnovamento che allo stato attuale attende di essere compiuto. La prima cosa riguarda il senso di appartenenza ad un partito ed il secondo riguarda il coraggio. La prima correzione che il segretario nazionale deve attuare è quello di far passare un concetto semplice: chi sta nel PD ci deve stare sempre, almeno fin quando si condividono “idee” (oggi parola grossa) e progetti politici (idem) senza alcun trasformismo che oggi si attua anche all’interno di uno stesso partito. Il secondo è il coraggio. Zingaretti se davvero è intenzionato a rinnovare la classe dirigente deve avere il coraggio di mettersi contro il sistema e l’apparato dando voce e rappresentanza partitica e istituzionale a chi davvero crede nel PD.
Questi oggi sono completamente fuori, tranne delle sparute rappresentanze, dai giochi. La domanda è: Se Zingaretti ha davvero intenzione di completare l’opera di rinnovamento ha il coraggio di piazzare uomini completamente nuovi nelle liste elettorali a partire dai prossimi appuntamenti elettorali politici e amministrativi? Piazzare significa ad esempio (seguendo il dettato della attuale legge elettorale) candidare capolista alla camera e al senato alle prossime politiche, uomini che non hanno a che vedere con l’attuale apparato piddino? Se non lo farà la sua opera risulterebbe morta sul nascere e quella attuata nei confronti di Oliverio verrebbe, senza ombra di dubbio, letta come una “guerra personale” nei confronti del governatore che da fine politico un segnale verso il rinnovamento lo diede davvero quando annunciò che si sarebbe ritirato se il PD avesse individuato una persona nuova, giovane da candidare alla presidenza della regione. Insomma la Calabria si trova ancora una volta a più bivi. Il primo quello della svolta annunciato dalla coalizione vincente e da Jole Santelli che dovrà a questo punto dimostrare di essere la persona giusta al posto giusto; il secondo quella del rinnovamento della classe dirigente politica ma sia nel primo che nel secondo caso sarà necessario mostrare di essere uomini e donne coraggiosi senza la paura di risultare impopolari perché azioni come queste non possono che suscitare speranza e da essa la popolarità. Così facendo magari la prossima volta a votare si recheranno 80% dei calabresi.