Emira Ciodaro: La sanità calabrese nel caos più assoluto. Ecco cosa penso

In una lunga intervista il medico ed ex presidente del consiglio comunale di Paola analizza il momento delicato della sanità calabrese e cittadina in piena seconda ondata covid

PAOLA – La sanità preoccupa tutti i calabresi. Tre Commissari in dieci giorni sono un record negativo di cui il premier Conte si è assunto tutta la responsabilità. È chiaro che adesso occorre cambiare regime e assumere comportamenti coraggiosi che non esprimano coraggio effimero, localistico o ancor peggio populistico ma concreto, ad ampio spettro e diretto alla ricerca dei responsabili degli oltre 2 miliardi di euro di debito della sanità calabrese.

Della attuale situazione sanitaria in Calabria ne abbiamo parlato con Emira Ciodaro, già presidente del consiglio comunale di Paola e medico di base specialista in diverse branche mediche. A lei abbiamo posto alcune domande. Ecco cosa ci ha risposto

In Calabria siamo davanti ad un dramma nel dramma, covid e sanità. Quel’è la sua idea in merito?

Alla Calabria, regione con il peggiore sistema sanitario d’Italia, sono bastate poche centinaia di casi Covid per ritrovarsi in zona rossa,per cui è da qui che si deve partire per capire il tutto. Appare logico dedurre che se l emergenza è difficile per tutti figuriamoci per una regione che era già in emergenza di suo.Sono bastate pochi ricoveri per Covid 19 di cui appena 26in terapia intensiva (dato a tutto il 14 novembre) per provocare un vero e proprio stato di emergenza. L’assessorato alla sanità della nostra regione è commissariato da decenni ormai,sono stati tagliati posti letto (dal 2000 al 2013 il 40% in meno),il personale sanitario diminuito del 17,1% dal 2010 al 2017 fra medici, infermieri ed operatori sanitari, e se a questo si aggiungono le asp sciolte per infiltrazioni mafiose,questo fa capire perché si è giunti a questo punto. In Calabria manca il personale, ma mancano anche ambulanze,consultori, una medicina territoriale efficiente. In poche parole manca “tutto”, quel “tutto” che per il resto d’Italia è considerato il minimo indispensabile al buon funzionamento della sanità. Ecco perché siamo nel caos più assoluto, situazione che mortifica i calabresi (due milioni di cittadini italiani) che vedono negato il loro diritto alla salute, e ma contestualmente crea una situazione di severa pericolosità quando sussistono situazioni di emergenza che vanno fuori dagli schemi della routinaria quotidianità.

Secondo quanto annunciato nell’ospedale di Cetraro, seguendo quanto disposto da Spirlí, oltre ai trenta posti covid ci sarà una implementazione di 4 posti di terapia intensiva. Per lei è giusto cosí?

Dall’inizio della pandemia a fine ottobre la Calabria è riuscita ad aggiungere solo 6 posti di terapia intensiva, ma i problemi della nostra sanità sono tali e tanti che solo un posto letto su sei in terapia intensiva risulta occupato. I posti di terapia intensiva sono sicuramente necessari, ma vanno inseriti in una ristrutturazione complessiva della rete ospedaliera, altrimenti sl di la di qualche folkloristico proclamatori,non servono a risolvere alcuna emergenza, ma resterebbero solo delle cattedrali nel deserto. Quando si parla di “terapia intensiva ” bisogna capire e soprattutto essere competenti in materia sanitaria, perché parliamo di un reparto di grande importanza, che contestualmente va collegato ai reparti giusti.

È per i posti di terapia intensiva di Paola?

Pensare esclusivamente ai 4 posti di terapia intensiva presso il PO San Francesco di Paola, che senso ha se non si va a creare un potenziamento dei reparti a cui la terapia intensiva deve dare supporto?inoltre bisogna anche osservare le strutture ospedaliere e capire così se ci sono le condizioni strutturali necessarie per poter creare i posti di terapia intensiva (ascensori per barelle,personale specialistico medico ed infermieristico)perché altrimenti continueremo a sprecare denaro pubblico, ed a parte favorire qualche siparietto di qualcuno ,i benefici sul territorio saranno inesistenti, perché resterebbero inutilizzabili ed inutilizzati non sono i letti,i cavi, gli arredi a fare un reparto degno di questo nome,ma tutto il resto, che se già manca negli altri reparti come potrebbe senza le dovute assunzioni essere presente in nuovi reparti?

Mancano i medici specializzandi, mancano protocolli di cura per i medici di base, le Usca funzionano a macchia di leopardo, di chi è la responsabilità?

Credo che le gravissime carenze, in questa emergenza pandemica, abbiano dei colpevoli ben precisi. In primis il commissario straordinario alla sanità (Cotticelli e il suo vice) che così come si è scoperto era ignaro di quelli che erano i suoi compiti d’istituto, ma si sentiva autorizzato a soprassedere a ciò che era di sua competenza, senza neanche leggere quello che il governo centrale gli comunicava in merito alle sue competenze. Inoltre, mi chiedo come il ministro Speranza abbia potuto totalmente ignorare il fatto che in Calabria il commissario non solo non avesse realizzato il piano Covid, ma che mantenesse una gestione confusa e caotica e, mi si consenta, del tutto incompetente. Si naviga a vista è vero, tutto ciò fa paura ai cittadini, ma anche a noi medici, che giornalmente inseguiamo colleghi, cerchiamo di barcamenarci tra una emergenza e l’altra. Mi si consenta una riflessione ad alta voce, a parte la lettera che la compianta Presidente Santelli ha scritto al Ministro in settembre, circa le criticità con cui la regione si apprestava ad affrontare la seconda ondata, tutta la politica calabrese, dico tutta, nessuno escluso, anche chi oggi anziché cospargersi il capo di cenere, si erge a “Masaniello ” della situazione, dove era? Non ne era a conoscenza e se è così come era possibile disconoscere quello che stava accadendo? Vedi, sono fortemente rattristata ed amareggiata da tutta questa precarietà perché la Calabria ed i calabresi meritano di godere degli stessi diritti del resto d’Italia. Eleggere dei rappresentanti non deve essere una colpa, forse dovrebbe fare intendere a chi viene eletto, che occupare dei ruoli istituzionali importanti, non è solo prestigio ma anche senso del dovere e di responsabilità verso chi si rappresenta.

Gino Strada ha iniziato a lavorare per la Calabria. È una buona cosa?

Gino Strada è un collega che ha deciso di dedicare la propria vita alle emergenza umanitarie. Ora mi chiedo: la Calabria perché deve essere vista come un’emergenza? Ha il diritto o no di avere servizi efficienti come tutte le altre regioni d’Italia? Le sembra giusto aver ridotto in condizioni così drammatiche la sanità calabrese? Undici anni di commissariamento, cervelloni provenienti da fuori regione, descritti quali salvatori della sanità calabrese cosa hanno concretamente realizzato? Avrebbero dovuto risanare la situazione finanziaria ed economica e, invece, apprendiamo che l’ultimo rendiconto dello stato debitorio del comparto sanità della nostra regione è stato chiesto nel 2009. Perché? Perché nessuno ha voluto affrontare le ragioni che hanno determinato un debito così eccessivo e si sono limitati a gestire la quotidianità? Abbiamo speso milioni di euro per tutti questi commissari, i quali non solo non hanno risolto alcunché, addirittura hanno consentito che la sanità calabrese andasse alla deriva definitivamente. E mi si chiede di Gino Strada? Quali competenze gestionali o amministrative potrebbe mai avere o vantare? Personalmente non sono per gli effetti speciali, credo nella concretezza.

I primari dei reparti di Rianimazione chiedono assunzioni a tempo indeterminato anziché assunzioni temporanee. Cosa ne pensa?

Penso che sia giusto e legittimo chiedere la stabilità delle assunzioni, perché per avere dei team di lavoro efficienti e ben armonizzati non si può cambiare il personale trimestralmente o con cadenza semestrale, la qualità deriva dalla continuità e dalla operatività costante, non dalla precarietà.

Cosa mi risponde se le dico che sarebbe meglio avere l’accesso libero alle facoltà di medicina in Italia?

A questa domanda rispondo, assolutamente d’accordo. Credo che, innanzitutto, sia ingiusto non consentire il libero accesso a qualsivoglia facoltà da parte di uno studente che un sistema di selezione a monte, ognuno dovrebbe essere libero di iscriversi dove reputa più giusto e sarà poi il percorso accademico a decidere il futuro di ciascuno. Purtroppo la logica di questa restrizione, a mio parere, poggiava su una politica che ha voluto vessare e condizionare le categorie professionali, soprattutto i medici, da sempre visti come una casta di privilegiati, senza valutare invece che un medico è una persona che, nel momento in cui decide di laurearsi in medicina, decide di mettere la propria vita al servizio dell’umanità, decide di dedicare se stesso in ogni istante ad una missione di soccorso, ad un ruolo che coinvolge la propria vita in ogni ora del giorno e della notte. Bloccare gli ingressi e, quindi, il numero dei laureati in medicina ha così creato una situazione di spopolamento della categoria che se in tempi normali faceva comodo, ora in tempi di calamità sta facendo verificare la nefandezza di tale restrizione.