Joker: storia di una psicopatologia

La psicologa Francesca Frattima analizza la figura del personaggio protagonista nelle sale cinematigrafiche

di Francesca Frattima

Il film “Joker” uscito nelle sale cinematografiche di tutto il mondo proprio in questi giorni, è ritenuto il film più stupefacente e coinvolgente nella storia del cinema degli ultimi anni.

LA TRAMA.

La trama racconta la vita di Arthur Flech, uomo di circa quarant’anni, di ceto sociale molto basso, che per guadagnarsi da vivere, lavora come clown, inoltre si occupa di sua madre, malata e completamente dipendente da lui per le cure quotidiane. All’inizio del film, il protagonista, appare come un buon uomo, con sani principi, quali l’accudimento per la mamma, il lavoro umiliante che lo espone ad essere vessato per strada, l’incapacità di potersi difendere. La storia di Arthur inizia a cambiare, quando la sua tranquillità vitale viene minacciata da episodi significativi quali: la scoperta di un passato doloroso che lo ha visto vittima di abusi in famiglia; la perdita del lavoro per aver portato sul luogo di lavoro una pistola, arma regalatagli da un collega per difesa sul posto di lavoro, e la fine della sua terapia psicologica e farmacologica a causa dei tagli sanitari. Partendo proprio dalla detenzione della pistola, divenuta estensione della propria personalità, dopo anni di vessazioni, diviene la rivalsa principale per “Joker”, nome d’arte che egli stesso sceglie a dimostrazione di una realtà felice solo esternamente realizzata da un trucco simulate un viso sorridente. Quest’arma in mano gli fa compiere i delitti, il primo per difesa da un gruppo di bulli, gli altri per ricordo e difesa di vessazioni subite.

ANALISI PSICOLOGICA

Dal punto di vista psicologico, la personalità di Joker, rappresenta un quadro interessantissimo, caratterizzato da un personaggio intriso di dolore: umiliato dalle botte per strada, l’immenso sforzo di far ridere gli altri per lavoro, quando dentro di sé non prova nessuna gioia; il doversi occupare di una madre amorevolmente, per poi scoprire essere stata una delle cause principali della sua psicopatologia, infatti rintracciata una vecchia cartella clinica della stessa, viene a conoscenza di un grave problema di personalità, che non la rendeva capace di occuparsi di un bambino, inoltre, sempre dichiarato nel documento, emergeva la detenzione dello stesso Joker legato e fatto abusare dai compagni della stessa. Arthur attua, come meccanismo di difesa, una risata assordante, forte, inappropriata al contesto, racchiudente immenso dolore. Dopo il primo omicidio, Joker, smette di ridere compulsivamente, segno di una liberazione interiore, in modo estremo e agghiacciante, si sente libero da tutte le crudeltà subite, divenendo lui stesso il crudele e aggressore. Nel film “Joker” è notevole L’incapacità da parte della platea, di non provare compassione e affetto per tutto il vissuto di questo personaggio, che sembra scegliere la strada della criminalità per difesa.
Oggi 31 dicembre, scegliamo di pubblicare questa “dedica” al personaggio Joker, che da sempre rappresenta la contraddizione di un volto truccato per far sorridere, ma che nasconde una natura omicida e criminale. Con il nuovo film dedicato al personaggio, dove si evince la causa dolorosa di una mente criminale, si apre una porta sulla comprensione delle psicopatologie, e sull’importanza necessaria dei supporti psicologici e farmacologici unici strumenti di compensazione e comprensione.